sabato 5 luglio 2008

L' arte nelle terre inconcrete

Non ci sarà arte nel mondo metaforico se non si estenderà il diritto alla dignità dell’ umano anche allo stato di avatar. Ogni produzione di oggetti sembrerà sempre l’ arredo di una casa per bambole, a meno che il mondo delle nostre protesi antropomorfe cesserà di essere considerato come una sorta di immateriale giocattolo. In tale equivoco, fatalmente, ogni atto artistico sarà comunque visto come semplice texture in un videogame di rozza fattura.

Io, in quanto avatar, difendo la dimensione originale del mio "Mundo". La sua autonomia nel generare modelli estetici originali, non solamente grottesche realizzazioni semplificate di oggetti usati nel mondo concreto. Per arrivare a questo pensiero mi sono scisso in modo notevole dalla mia natura d’ origine, cercando per vari mesi di vedere l' umanità con lo sguardo mobile di un avatar senza peso nè tempo.

Le dimensioni metaforiche interattive on line sono un grande diversivo al tedio esistenziale, ma chi frequenta assiduamente quei mondi, mentre si corrobora l' autostima, spesso lascia tracce orribili del suo passaggio. Molto controversa è oggi la valutazione della reale entità di frequentatori di quelle isole felici generate dai server della Linden, ma è comunque un’ esperienza molto significativa per coloro, pochi o molti che siano, che dedicano una parte rilevante del loro tempo reale ad allacciare rapporti sotto la forma di avatar.

Troppo poco però si riflette sull' estetica di Second Life, tale come potrebbero elaborarla i suoi più assidui abitanti stanziali. Gli appuntamenti dedicati all’ arte sono senz’ altro un lodevole aggregatore d’ interessi nella seconda vita, ma ancora la colonizzazione delle terre “inconcrete” non si discosta da ogni precedente conquista territoriale avvenuta sotto il pretesto della civilizzazione.

L’uomo si traveste da avatar, ma spesso resta prigioniero della pesantezza della sua umanità, anche quando edifica le sue città e allaccia nuove relazioni. Immagino che sia impossibile prevedere una sorta di principio regolatore nell' immaterialità prodotta da codice informatico, tuttavia non sarebbe inutile tendere a un' ecologia dell' immaginare, fare uno sforzo notevole, ma suggestivo, per iniziare a pensare una definizione del bello che abbia un suo senso assoluto per i mondi paralleli.

Ogni riproduzione in scala di oggetti di valore storico e artistico, quando passa per le coordinate che definiscono l' esistere in Second Life, assume la grottesca caratteristica di un set per marionette che rappresentano umani. Non è la ricerca del realismo quindi che attribuisce la caratteristica di opera d' arte nel mondo parallelo, anzi direi più drasticamente che l' essenza dell' opera d' arte non è un' informazione che il teletrasporto in prim mantiene dalla memoria molecolare. L' arte deve essere quindi giudicata tale non dal punto di vista dell' occhio umano, ma dalla soggettiva del “camera control” che definisce l' angolo visuale dell' avatar.

Per iniziare a concepire in una dimensione graduale l’ esperienza dell’ immaterialità, ho pensato a un meccanismo che fosse capace a trasformare una piéce teatrale in una pratica visionaria. Il progetto si ispira alle ingegnose macchine del teatro greco, quelle usate per creare l’ illusione della discesa degli dei dal cielo.

La mia "macchina per entrare e uscire dal mondo" è un trasformatore di umani in avatar e viceversa, un meccanismo semplicissimo da potere usare in teatro, ma con dovuti adattamenti anche in qualsiasi architettura frequentata da persone. Per il prototipo ho scelto come scenografia una piazza metafisica di Giorgio de Chirico, ma si potrebbe anche raffigurare una stanza o una specie di corte, o via chiusa o angolo di città paese ecc.. L’ importante è che ai due rispettivi estremi della parete della scena siano create due porte che si possano realmente aprire e chiudere. La scenografia in sintesi è un unico pannello diviso in tre aree. Le due laterali, dove aprono le porte, rappresentano la facciata esterna dell’ edificio foto riprodotta sul legno della scena. La parte centrale invece è bianca come uno schermo cinematografico. La sezione mancante della scena viene integrata video proiettando un ambiente virtuale tridimensionale interattivo che completi in maniera indistinguibile il quadro dell’ edificio con altre due porte virtuali apribili.

Ogni attore o persona del pubblico può entrare dalla porticina di legno, come essere in carne e ossa, e riuscire da quella proiettata sotto forma di avatar, ma sempre continuando a dare la voce alla sua rappresentazione virtuale. Naturalmente può essere fatto anche il percorso inverso facendo diventare un avatar umano. E’ stato così possibile realizzare dal vivo una performance molto coinvolgente. L’ arcana semplicità della macchina rende l’ esperimento comprensibile a chiunque, oltre il pregiudizio che ogni tentativo di uscita dal mondo con mezzi telematici sia elitario, detestabile e sospetto di derive patologiche. Il teatro riporta a considerare come possibile esperienza individuale, e fonte provata di ispirazione artistica, lo sperimentare esistenze parallele alla propria.

Così ho guidato “dentro” esseri umani sfidandoli ad essere “altro” rispetto al corpo materiale. Una forma di autoletteratura immersiva in cui il supporto coincide con l’ autore. Il simulacro di temporanea immaterialità a cui le mie cavie davano voce, diventava così la più potente raffigurazione della loro coscienza.


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